World Hearing Day - Il Centro Ricerche e Studi Amplifon presenta “Le parole del sentire comune"

Il potere discreto del linguaggio al centro di uno studio sperimentale sul nostro rapporto con l’udito

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Pubblicato il 3 marzo 2020 alle 11:29

Il Centro Ricerche e Studi Amplifon ha lanciato un progetto di ricerca sperimentale condotto da un team accademico internazionale coordinato dall'Università Cattolica del Sacro Cuore, con la collaborazione di Diversity and Inclusion Speaking.

Il progetto si propone di creare una piattaforma di approfondimento su come un utilizzo più consapevole del linguaggio possa influenzare positivamente la cura dell’udito, un bisogno che in italia è destinato a crescere del 55% nei prossimi 30 anni, arrivando a coinvolgere 11 milioni di persone.

Milano, 3 marzo 2020 – L’argomento interessa molti, ma se ne parla ancora poco e non sempre nella maniera corretta: questa è una delle evidenze emerse dallo studio “Le Parole del Sentire Comune”, presentato oggi in occasione della Giornata Mondiale dell’Udito, celebrata ogni anno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il 3 marzo. La ricerca, promossa dal Centro Ricerche e Studi Amplifon, rappresenta la prima tappa di un ampio progetto, nato con l’obiettivo di comprendere più a fondo il ruolo che il linguaggio gioca nell’evoluzione degli stereotipi relativi alla perdita dell’udito e all’adozione di soluzioni dedicate.

Nella prima fase della ricerca si è analizzato lo stato attuale della rappresentazione sui mezzi di informazione dei temi relativi alla perdita dell’udito, per definire l’influenza del linguaggio nello sviluppo degli atteggiamenti riguardanti la perdita dell’udito e l’utilizzo delle soluzioni acustiche. Infatti, l’adozione di un linguaggio “normalizzante” nella descrizione di un fenomeno che interessa oggi 7,3 milioni di italiani (12% della popolazione) può rivelarsi un elemento fondamentale per diffondere conoscenza e consapevolezza, migliorando la qualità della vita di una fascia della popolazione sempre più attiva. Una nuova generazione che ha stili di vita e abitudini moderne e diversificate, ma che ancora oggi tende a nascondere le proprie difficoltà uditive per molto tempo –in media sette anni - prima di affrontare il tema serenamente con amici e familiari, nonchè con il proprio medico di fiducia.

Sono stati resi noti oggi i risultati emersi dall’analisi svolta nei mesi di ottobre, novembre e dicembre 2019 insieme agli aspetti metodologici più innovativi della fase sperimentale appena partita. La ricerca ha analizzato un corpus di oltre 650 articoli pubblicati sulla carta stampata e nel web in Italia, in un arco temporale di due anni.

Le analisi hanno evidenziato che, contrariamente a quanto atteso, il tema della perdita dell’udito in età anziana (presbiacusia) è in generale sottorappresentato sulla carta stampata, che si concentra maggiormente nella trattazione di tematiche legate alla sordità o in generale ai problemi di udito nelle generazioni più giovani (neonati, bambini e giovani). Nello specifico i quotidiani si concentrano sugli aspetti del problema legati all’attivazione delle cure, mentre i periodici (soprattutto quelli specialistici) analizzano sintomi e soluzioni. E’ solo sul web che troviamo una maggiore rappresentazione del problema focalizzato su adulti e anziani.

Alla prima fase del progetto ha lavorato un team internazionale di ricerca inter-ateneo composto dalla Professoressa Gilda Sensales del Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione dell’Università La Sapienza di Roma, e dai Professori Fabio Montermini e Maja Becker del Laboratoire Cognition, Langues, Langage, Ergonomie dell’Université de Toulouse, sotto la supervisione e il coordinamento scientifico della Professoressa Claudia Manzi del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sul la Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

"Aspetti rilevanti sono emersi anche dall’analisi dei termini maggiormente utilizzati dai mezzi di comunicazione per riferirsi ai sintomi, alle soluzioni e alle persone coinvolte in questo problema" spiega la professoressa Claudia Manzi, Professoressa Ordinaria di Psicologia Sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore. "Dall’analisi di confronto sui sostantivi più specifici e maggiormente usati nei tre corpus analizzati (giornalistico, forum peer-to-peer e forum specializzati) sono emerse informazioni interessanti: si osserva che il linguaggio giornalistico sul tema si discosta molto da quello colloquiale, prediligendo l’utilizzo di un lessico ricco e articolato dove prevalgono termini medici tendenzialmente freddi (es. paziente, ipoacusia, acufene, disturbo, malattia); nei forum peer-to-peer, invece, risulta prevalente un linguaggio diretto, con l’utilizzo di termini comuni anche se potenzialmente carichi emotivamente (ad esempio sordo, sordità, problema e protesi, impianto). Sarà interessante analizzare se il linguaggio oggi prevalente nei mass media sia di beneficio od ostacolo nel superamento dello stigma relativo alla ipoacusia e all’utilizzo di soluzioni per la cura del l’udito".

Il team di ricerca accademico è stato supportato da un advisory board composto dal Professor Sandro Martini, già Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Padova, dalla Professoressa Elisabetta Genovese, già Presidente della Società Italiana di Audiologia e Foniatria (SIAF), da Alexa Pantanella, Founder di Diversity and Inclusion Speaking, e da Fabrizio Alfieri, Direttore Centro Ricerche e Studi Amplifon (CRS).

 “In Italia meno del 30% delle persone che presenta ipoacusia adotta un dispositivo acustico. Nello specifico, solo il 9% di coloro che hanno una perdita lieve, il 29% di coloro che hanno una perdita media e il 57% di chi ha una perdita da grave a profonda" afferma Fabrizio Alfieri, Direttore del Centro Ricerche e Studi Amplifon. "Spesso il mancato utilizzo delle soluzioni a disposizione è dettato da una scarsa consapevolezza dei potenziali benefici, nonché dagli stereotipi associati alla perdita uditiva. Viceversa, un ambiente positivo, accompagnato dal sostegno familiare, permette alle persone di sentirsi a proprio agio nell’accettare un percorso di rimediazione acustica".

Attualmente è in corso la seconda fase della ricerca che si avvale della collaborazione con il Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca coordinato dalla Professoressa Patrizia Steca e dalla Professoressa Alice Mado Proverbio.

Un primo studio sta analizzando i correlati neurofisiologici relativi all’esposizione ai diversi cluster di parole che sono stati individuati nella fase 1. Nello specifico saranno registrate attraverso elettroencefalogramma le reazioni celebrali delle persone coinvolte che saranno sottoposte a stimoli linguistici che, pur avendo lo stesso significato, rispecchiano stili comunicativi differenti. Dall’analisi delle aree celebrali che i diversi stili comunicativi attivano, si cercherà di mettere in luce quali sono i termini che allontanano maggiormente le persone dall’affrontare in maniera risolutiva il tema del calo dell’udito. Nel secondo studio gli effetti del linguaggio saranno ulteriormente indagati in relazione alla formazione conscia e inconscia degli atteggiamenti verso le soluzioni acustiche.

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